Mai esisteranno due Netflix
Il presente post non mira ad essere un trattato di economia (ma di economia parlerà) o di televisione o di cinema o di internet (ma tratterà tutti questi argomenti).
Semplicemente, seguendo la visione di questo sito nato non per banalmente “far leggere”, ma per “far pensare” in un’ottica liberale e senza pregiudizi, si è pensato di scrivere sul libero mercato prendendo come esempio la convergenza totale del mondo audiovisivo portata dalla rivoluzione digitale unitamente ai precedenti cambiamenti (oramai passati alla storia) del mondo cinematografico e televisivo.
Prima c’era solo il cinema, poi nacque la televisione con i suoi pochi canali, quindi l’home video. Ora cinema, televisione, computer, tablet e smartphone sono solo degli schermi per proiettare una storia.
Netflix, un emblema del libero mercato
Chi pensa a serie televisive o a film da vedere su internet pensa a Netflix.
Tuttavia Netflix non nacque con lo streaming, bensì con i dvd. Nell’ormai lontano 1997 testò la possibilità di noleggiare o vendere dvd ricevendo gli ordini tramite internet e spedendoli direttamente a casa tramite servizio postale. Fu nel 2008 che l’azienda attivò un servizio di streaming on demand capendo che il futuro era trasmettere tramite internet.
Nel 2011 decise di produrre contenuti originali. Erano sia serie completamente nuove, sia nuove stagioni di serie televisive già esistenti ed abbandonate.
Verso la fine del 2013 annunciò un accordo con la Marvel Entertainment per trasmettere alcune serie televisive in esclusiva.
Dal 2014 finanzia anche la produzione di film.
In queste parole si può intravedere il motivo che induce il post ad intitolare il primo paragrafo a Netflix: perché è una storia emblematica del libero mercato. Molte sono le strade aperte su questa azienda e sui suoi moltissimi concorrenti e si cercherà di percorrerle nel prosieguo. Anche il titolo del post ha una motivazione di cui si scriverà nel paragrafo conclusivo.
Nell’arena del libero mercato si è visto, si vede e si vedrà qualunque tipo di competitore. Interessanti sono i grandi che continuano ad essere protagonisti per decenni riuscendo a rinnovarsi o che declinano in modo fragoroso o lentamente, ma inesorabilmente e le imprese nate da un’idea rivoluzionaria che da piccole diventano i protagonisti del futuro o che sono assorbite dai protagonisti del presente.
Gli investitori giocano un ruolo fondamentale nella competizione del libero mercato, nel rendere grande un’azienda o nel farla crollare.
Il Cinema non è più al centro… tuttavia
Nei momenti di innovazione l’economia si squilibra. Nel libero mercato sempre è stato così e sempre lo sarà.
In questi anni internet ha creato dei colossi quali Google (Alphabet), Facebook e Amazon che hanno cambiato le nostre vite. Insieme a Microsoft ed Apple, formano le “Big Five” (sarà fortuito, ma questa denominazione usata ora per le 5 più consolidate aziende della Silicon Valley, una volta si riferiva alle più importanti Major Hollywoodiane ossia alla Metro-Goldwyn Mayer, alla 20th Century Fox, alla Paramount, alla RKO ed alla Warner Bros).
Questi giganti stanno investendo ingenti capitali per entrare prepotentemente nel settore dei media. Commissionano serie ai migliori sceneggiatori e reclutano i migliori attori offrendo cifre che alzano i prezzi di questo mercato. Sono sicuri di sé perché gli investitori finanziari stanno con loro. Ritorneranno dei loro investimenti? Molto dipenderà da come le aziende autoctone dei media si muoveranno.
Nel prosieguo del post non si metteranno tutte le aziende di Hollywood, del vecchio mondo del cinema, da una parte e quelle della Silicon Valley, dell’odierno mondo dell’informatica, dall’altra, come se fossero due fronti compatti. Non è solo semplicistico… è sbagliato. La realtà è complessa e si può spiegare solo se si conoscono tutte le sfaccettature. Questo sito sa che un post non può essere esaustivo, ma vuole dare una visione d’insieme da cui si possa capire il più possibile la situazione attuale.
Tutti sanno dove si sta andando, che oggi il grande schermo non è più centrale nel raccontare una storia, che internet è il futuro già presente ed il cinema non è né il dominante presente, né tanto meno il futuro…
Ma non si può sapere quali aziende dei due fronti saranno ancora protagoniste e come lo saranno quando si giungerà pienamente nel nuovo mondo nato dalla rivoluzione attuale, perché molteplici sono i fattori in gioco.
Le novità che i nuovi entranti nei media stanno consegnando a noi spettatori sono per ora solo ciò che internet porta: maggiore offerta e la possibilità di visionare qualunque opera audiovisiva dove si vuole e quando si vuole. I film e le serie che vengono prodotti per internet non sembrano avere quel salto di qualità che nei decenni passati alcuni cambiamenti hanno portato.
Forse sarà come negli anni ‘80 in cui il nuovo network Fox ed i canali via cavo che crescevano e si diffondevano (soprattutto Hbo e Showtime) portarono alla seconda Golden Age della televisione americana, come è ben spiegato nel libro “Buona maestra – Perché i telefilm sono diventati più importanti dei libri e del cinema” del critico televisivo Aldo Grasso. Lì si può leggere che i tre storici network, inizialmente impreparati alla rottura del monopolio televisivo, reagirono e grazie alla casa di produzione Mtm e alla libertà creativa che questa lasciava ai suoi sceneggiatori, registi e attori, nacquero telefilm che rivoluzionarono il piccolo schermo.
Come vedremo più avanti, la Disney sta rispondendo alla rivoluzione digitale in modo formidabile.
Il libero mercato è distinguersi dai concorrenti con l’ingegno, oggi come nel passato.
Succedeva nella Hollywood d’oro in cui alle “Big Five” (Metro-Goldwyn Mayer, 20th Century Fox, Paramount, RKO e Warner Bros) si affiancavano le tre Mini-Majors (Universal, United Artists, Columbia) e molte aziende indipendenti.
Quando non c’era ancora la televisione, ma solo il grande schermo, oltre ai film esistevano i serial cinematografici. Erano film estesi divisi in 10-15 episodi da 16-20 minuti, ognuno proiettato nella stessa sala per una settimana. Ogni episodio si concludeva con un finale aperto per invitare il pubblico ad andare al cinema la settimana successiva.
I protagonisti erano molto spesso eroi, supereroi ed in generale personaggi dei fumetti. Alcuni esempi sono Dick Tracy con 4 serial, Flash Gordon con 3, Zorro con 5. Ci fu anche il serial di Buck Rogers, quello di Batman e i 2 di Superman.
Da notare che oggi ogni serie televisiva dei 5 principali network statunitensi attuali conta più di 20 episodi a stagione (molti decenni fa anche trenta), mentre il numero di episodi delle serie su Netflix è lo stesso degli antichi serial cinematografici (anche se ogni episodio ora dura generalmente più del doppio) e delle televisioni via cavo americane.
In un mondo come quello odierno in cui si può disporre di serie e di film dappertutto, ma molto spesso si ha poco tempo, si può notare che il cinema americano è cambiato: ci sono molti meno film comici (effettivamente più consoni agli altri media) ed in generale è aumentata la durata delle pellicole che sempre più spesso sfiora o supera, anche abbondantemente, le due ore. Si può fare perché il pubblico si reca al cinema consapevolmente. Dei brand cinematografici si scriverà più avanti.
Come si è già scritto, il cinema non è più al centro dei media… tuttavia è in crisi non da ora, ma almeno da trent’anni e sicuramente non chiuderà oggi o domani.
Amazon, uno dei due più grandi servizi di streaming on demand del mondo, ha iniziato a distribuire film prodotti dai suoi Amazon Studios anche sul grande schermo.
Netflix no, ma anche con l’avvento dell’home video uscivano storie direttamente in dvd. È il caso di molti seguiti di alcuni dei lungometraggi animati più classici della Walt Disney: 2 seguiti di Cenerentola, 2 della Sirenetta, 2 del Re Leone, 2 di La Bella e la Bestia… È successo con due marchi fantascientifici: Stargate e Babylon 5.
Il piccolo schermo, oltre a trasmettere film cinematografici e telefilm, molto spesso ha trasmesso degli originali film per la tv, cioè storie di circa novanta minuti mai trasmesse al cinema.
Le Major degli anni d’oro non sono quelle attuali, sfortuna della Silicon Valley
La Comcast Corporation è il più grande operatore via cavo degli Stati Uniti, è in internet, nella telefonia digitale e controlla la NBC Universal che ha al suo interno la Universal Pictures. Ritroviamo quindi in un conglomerato dei media una delle tre Mini-Major dell’epoca d’oro di Hollywood.
La seconda delle tre Mini-Major, la Columbia, fa attualmente parte della Sony, altro conglomerato dei media.
La Viacom, ulteriore conglomerato, detiene la Paramount, una delle cinque Major.
La Warner, un’altra delle “Big Five” della Hollywood d’oro, è stata acquistata dall’AT&T, importante fornitore di rete wireless americano. La HBO fa parte di questo conglomerato.
A fine luglio, dopo mesi di negoziati, la Disney (all’epoca d’oro di Hollywood solo un’azienda di produzione indipendente) compra gli studi della 20th Century Fox (in realtà manca ancora il via libera da varie autorità antitrust, soprattutto da quella cinese commercialmente non in ottimi rapporti con gli Stati Uniti) e si crea un titano della distribuzione cinematografica.
Da queste stringate frasi si può intuire che le aziende autoctone dei media sono ormai dei conglomerati con al loro interno molta della vecchia Hollywood.
La Comcast che cerca di contrastare fino all’ultimo la Disney per acquisire la Fox ed il mancato matrimonio Fox – Warner di cui si leggeva quattro anni fa, in cui la Century Fox era la cacciatrice, mostrano i fermenti di questi anni nel mondo dei media.
Per il proseguimento del post è importante aprire una breve parentesi sugli studi di produzione, sui brand e sui contenuti.
I più famosi registi sono anche produttori e hanno il loro studio: Spielberg fondò la Amblin Entertainment e la DreamWorks, J. J. Abrams la Bad Robot, George Lucas la Lucasfilm… Esistono film prodotti da più studi, anche più di tre.
Le case di produzione i cui titoli cinematografici negli ultimi anni incassano di più, sono dei veri brand del cinema. I film della Marvel, della Pixar e della DreamWorks, per esempio, sono perfettamente identificabili e la Lucasfilm ha prodotto nella sua storia essenzialmente i film del suo fondatore ed è intrinsecamente legata a due saghe universalmente conosciute quali Star Wars ed Indiana Jones.
La Disney continua a comprare contenuti: da qualche anno è proprietaria dei Marvel Studios e della Lucasfilm ed ha quindi acquisito i diritti di un’infinità di personaggi a fumetti, di Star Wars (un intero universo) e di Indiana Jones, un’icona popolare. La nuova preda 20th Century Fox porta in dote i Fantastici 4 e gli X-Men, entrambi personaggi della Marvel i cui diritti erano stati ceduti, i Simpson…
La Pixar, inizialmente divisione della Lucasfilm, poi acquistata e resa da Steve Jobs uno studio indipendente rivoluzionario, è da anni proprietà della Disney.
Chiudiamo la parentesi sugli studi di produzione, sui brand e sui contenuti con la Warner che possiede l’universo della DC di cui fanno parte Superman, Batman, Flash e Wonder Woman (solo per citare alcuni supereroi) e con la DreamWorks Animation, separata e resa indipendente dalla DreamWorks, che è da circa due anni della Universal Pictures.
A Maggio di quest’anno Netflix, la più grande azienda al mondo nella distribuzione di serie e film su internet, supera per la prima volta in capitalizzazione la Disney, leader attuale nella distribuzione dei film al cinema.
Netflix vale troppo? Alcuni elementi sembrano dire sì, altri no.
E la Disney? Nel 2005 valeva meno di 50 miliardi di dollari, ma quando Netflix l’ha superata valeva più di 150 miliardi. Ha senso la sua crescita? Senza dubbio sì, ma come si può scrivere che nel futuro di Netflix un crollo in borsa senza successiva risalita è plausibile, così non c’è una sicurezza matematica che impedirebbe alla Disney di scendere di valore.
Settore dei media, attualmente un emblematico esempio del libero mercato
Gli investitori finanziari amano il rischio e guardano al futuro che se a grandi linee è tracciato (l’avvento di internet ha reso possibile visionare serie e film dove e quando si vuole), per tutte le aziende attualmente in gioco non è ancora scritto: ognuna ha debolezze da colmare e vantaggi su cui puntare.
Netflix ha ripensato il business delle videoteche dopo l’avvento di internet creando un servizio streaming con abbonamento mensile estremamente economico da cui si può recedere quando si vuole. Ogni consumatore di serie e di film misura la libertà che prima non aveva e di cui ora dispone e ciò lo porta a mitizzare questa azienda. Ogni trimestre gli abbonati continuano ad aumentare in tutto il mondo (non è presente solo in pochissime nazioni tra cui la Cina) ed attualmente sono circa centotrenta milioni.
Per questa società tuttavia il futuro non è tutto rose e fiori, come mostreremo tra poco.
Netflix si trova attualmente al centro del mondo dei media con le aziende autoctone costrette ad inseguire e con i colossi della Silicon Valley che vogliono prepotentemente entrare nel settore, ognuno a suo modo.
I conglomerati dei media per adattarsi stanno progettando proprie piattaforme streaming a pagamento in cui inserire i propri prodotti. Come si è già scritto, la Disney e la Warner hanno dalla loro una marea di esclusive. Ma non sono le sole: un altro esempio è la “CBS all access” partita sul territorio statunitense che punta sui diritti di Star Trek (un intero universo da esplorare) e di Ai Confini della Realtà a cui si rifanno molte serie, anche attualmente in auge.
Una volta che le piattaforme dei media tradizionali saranno a regime, Netflix avrà perso sia il vantaggio della sua unicità, sia molte serie attualmente nel suo catalogo, ma prodotte per esempio dagli Abc Studios della Disney.
Netflix sa che in quel momento la concorrenza sarà spietata, sarà fondamentale avere esclusive di livello e saranno solo gli spettatori a decretare il successo. Ecco perché sta creando un suo mondo finanziando sempre più la produzione di serie e di film in esclusiva. Per non essere ricordata in futuro solo come la mitica apripista meteora, sta spendendo molto più di chiunque nel mondo dei media per produrre sempre più contenuti originali in giro per il mondo. Progetti al di fuori di Hollywood e degli Stati Uniti, ma anche una nuova serie del creatore dei Simpson, una serie di ormai cinque stagioni con Jane Fonda, un film con Robert Redford e Jane Fonda, un film con Will Smith… Ingaggia la regina delle serie della Abc. Stringe accordi con Obama e moglie per produrre film e serie.
Netflix fa debiti per produrre di più, emette obbligazioni, scommette sul suo futuro. Per continuare a crescere e nel contempo per non fallire. Ecco spiegato il titolo di questo post: non c’è spazio per una nuova Netflix, cioè per una nuova azienda che nasca dal nulla nel mondo di cui stiamo scrivendo.
Diretti concorrenti di Netflix sono anche i colossi della Silicon Valley, in special modo Amazon ed Apple. Entrambi sono in crescita nel proprio settore e non hanno problemi nell’investire molti soldi in quel campo che sta trasformando il mondo dei media: il servizio che tramite una connessione internet porta a fruire di prodotti di intrattenimento in qualsiasi momento e luogo. Più che scrivere di cosa dispongono le due aziende (hanno un possibile bacino di utenza imbattibile… per avere un’idea basta pensare al servizio Apple Music, al sistema iOS, al servizio Amazon Prime) è da sottolineare che per gli studi indipendenti che producono serie e film, lavorare con Netflix o con la Silicon Valley (ad esempio la Apple) è lo stesso tranne che per una differenza non piccola: i colossi dispongono di una potenza di fuoco decisamente superiore a Netflix e la usano non per sopravvivere nell’unico settore in cui sono, ma per conquistare nuovi lidi oltre al proprio regno.
L’accordo concluso tra Steven Spielberg, la NBCUniversal e la Apple per produrre (i primi due) e distribuire (la terza) una versione aggiornata di Amazing Stories (serie televisiva trasmessa tra il 1985 ed il 1987), mostra come il settore dell’intrattenimento è ora un mondo in cui tutto può accadere. In questo caso Apple viene aiutata da uno studio indipendente e da un conglomerato dei media per contrastare Netflix.
Nel mondo dei media che sta cambiando è giusto ricordare che la holding di Google, Alphabet, è ormai la regina incontrastata del mercato pubblicitario mondiale e Facebook segue, anche se a distanza. È la dimostrazione del lento, ma inesorabile declino della televisione generalista? Le parole scritte da Di Maio, “le tv tradizionali hanno i giorni contati”, corrispondono alla realtà? No.
Se con la nascita dei canali a pagamento molti pensarono che i canali gratuiti fossero il passato, ora l’attualità sembra mostrare che le pay-tv sono il passato nel presente, che i servizi di streaming sono il presente verso il futuro e si scopre che i canali free con contenuti sono l’eterno presente.
La rivoluzione digitale ha moltiplicato l’offerta e ai pochi canali generalisti si sono affiancati i molti canali semigeneralisti, anch’essi gratuiti. La televisione a pagamento si trova strangolata dalla libertà delle piattaforme streaming a pagamento (ora anche di eventi sportivi come Dazn) e dai moltissimi canali gratuiti e deve il più velocemente trovare soluzioni.
Vecchi concorrenti se si rinnovano non falliscono, come ha da poco dimostrato la Mediaset con l’ultimo mondiale di calcio che se trasmesso da canali a pagamento genera perdite, se mandato in onda su rete gratuite può oggigiorno generare profitti senza difficoltà.
Concludiamo questo lungo post scrivendo che il cambiamento è sempre una sfida in cui comanda chi riesce a tenere nella determinata situazione il coltello dalla parte del manico. Il libero mercato non è però la riproposizione della legge della giungla, anzi. Gli imprenditori di successo sono quelle persone che intercettano e che soddisfano meglio i bisogni della società civile in una competizione che porta a migliorare la vita di ogni individuo.
Ritornando al nostro post, quando vincerà lo spettatore? Sempre finché ci saranno storie da raccontare, genialità e libero mercato e gli uomini avranno la forza di essere liberi.